Mantova è una grande opera

di Lorenza Baroncelli

Ci sono stati momenti della storia in cui le città, le grandi opere, erano oggetto di mobilitazione collettiva, di un ineguagliato sforzo d’ingegno per concepire e realizzare beni e sistemi che elevassero la qualità di vita di un’intera società.

In altre parole, ci sono stati momenti nella storia in cui le grandi opere erano considerate la forma più alta di democratizzazione dei popoli.[1]

Oggi, nonostante gli avanzamenti tecnologici che rendono possibile ciò che sarebbe stato inconcepibile secoli fa, siamo abituati a parlare del nostro patrimonio edilizio unicamente in ambito di proteste, scandali, corruzione, tangenti o per lamentarci del degrado, dello sgretolamento delle strutture, delle buche, degli scheletri abbandonati.[2]

Il simbolo per eccellenza di quello che sta accadendo oggi sono le opere incompiute, dei veri e propri monumenti dell’abbandono: migliaia di edifici pubblici e privati, costruiti in calcestruzzo armato, iniziati e mai conclusi.

La dimensione del fenomeno, l’estensione territoriale e le incredibili peculiarità architettoniche fanno dell’incompiuto il più importante stile architettonico degli ultimi 40 anni.[3]

Quello che è stato avviato a Mantova per contrastare questo fenomeno è un vero e proprio processo di “demineralizzazione” urbana[4], che interessa interventi di decementizzazione e rigenerazione del patrimonio edilizio esistente ma anche di revisione degli strumenti di governo del territorio.

Ovviamente i tre approcci (rigenerazione, demolizione, legislazione) sono legati in un unico processo, ma per semplicità narrativa possono essere sintetizzati con tre progetti: quello di Mantova Hub, che rappresenta un tipico esempio di rigenerazione urbana; Ponte Rosso, che racconta un primo esperimento di decementificazione; e Colle Aperto, che descrive un tentativo di interpretare in forma innovativa l’applicazione degli strumenti urbanistici.

Mantova Hub ©Cristiano Giglioli

1. Mantova Hub: rigenerazione urbana

Nel 2016, il Comune di Mantova ha aderito al bando del governo sulla rigenerazione delle periferie con un progetto intitolato Mantova Hub e ha vinto un finanziamento di 18 milioni di euro.

Il progetto, disegnato da Stefano Boeri e Stefano Mancuso, prevede l’istallazione del primo centro di ricerca sulla neurobiologia applicata all’urbanistica. Una disciplina mai studiata prima.

In una era in cui le città stanno attraversando una fase di rarefazione della domanda, trovare una funzione nuova, capace di rilanciare una città in un contesto europeo, è fondamentale per far diventare un progetto di rigenerazione urbana un processo di successo.

Nel dopoguerra, l’apparato pubblico ha costruito scuole e ospedali per tutti, negli anni ’90 ha istallato musei ovunque e oggi, non appena c’è uno edificio vuoto, progettiamo spazi di co-working o FaLab. Ma co-working e FabLab rispondono veramente alla domanda che ci viene dal territorio?

Intuire che a Mantova, al centro di un territorio con una forte vocazione ambientale ed agricola, possa esserci terreno fertile per creare la prima scuola di specializzazione in Europa sulla neurobiologia applicata all’urbanistica permetterà di rifunzionalizzare un area periferica della città e di rilanciare l’economia urbana nel suo complesso.

Ponte Rosso ©Cristiano Giglioli

2. Ponte Rosso e la decementificazione

Ponte Rosso è un quartiere al confine della città. Una periferia agghiacciante, come tante periferie urbane: speculazioni edilizie caldeggiate dalle amministrazioni tra gli anni ‘80 e 2000 e fallite a partire dalla crisi economica del 2009.

Per metà l’area di Ponte Rosso è residenziale, uno dei peggiori esercizi di architettura degli anni ‘90, e per il resto è occupata da due padiglioni abbandonati con destinazione  commerciale. Due scheletri mai terminati perché la società è fallita prima ancora di aver compreso il pessimo investimento.

Attraverso un complesso processo di interpretazione e revisione del PGT, l’amministrazione comunale di Mantova ha deciso di utilizzare i soldi della fideiussione per eliminare i parcheggi dell’area commerciale inutilizzati e costruire un parco lineare.

Se in un quartiere c’è del cemento inutile, un monumento dell’abbandono, va eliminato, bisogna restituire suolo permeabile, superfici libere da funzioni. Bisogna cominciare a considerare il verde come un valore non solo sociale ma anche economico.

Colle aperto ©Cristiano Giglioli

3. Colle Aperto e l’interpretazione innovativa degli strumenti urbanistici

Colle Aperto è i quartiere limitrofo a Ponte Rosso.

Anche in questo quartiere c’è un enorme scheletro abbandonato.

Sono almeno vent’anni che gli abitanti di Colle Aperto convivono con il degrado generato da quel monumento dell’abbandono ma non esistono procedure ammissibili per risolverlo: il privato è fallito, non ha soldi, e non può far altro che aspettare che qualcosa cambi nel mercato immobiliare e qualcuno si decida a comprarlo. Allo stesso tempo, qualunque quantità di denaro che l’amministrazione dovesse spendere  per risolvere la situazione (attraverso la liquidazione della concessione o una permuta con la proprietà di un’altra area) sarebbe passibile di danno erariale. Ma chi risarcirà i cittadini di aver vissuto per venti anni una vita nel degrado? Procedure.

Sebbene non sia ancora legalmente ammissibile, l’unico modo sarebbe comparare il costo urbanistico con il costo sociale. Inserire nel quadro economico del settore urbanistico le spese sostenute dall’amministrazione pubblica per gli interventi della polizia locale, per i servizi sociali nel contrastare il degrado dell’area, considerare quanto inquinamento si è prodotto obbligando le famiglie a spostarsi in macchina per andare a giocare nel prato del quartiere vicino. quanti soldi di manutenzione si sono spesi per evitare che l’erbaccia invadesse la strada. E dimostrare che una spesa effettuata dal settore urbanistica non dove considerarsi un danno erariale perchè può generare un risparmio nell’economia urbana nel suo complesso.

É arrivato il momento di far tornare la città ad essere una grande opera, la forma più alta di democratizzazione dei popoli.

È necessario ricominciare a “fare città”, partendo dal tessuto urbano esistente.

Non limitarsi all’urbanistica, ma occuparsi anche di sicurezza, cultura, innovazione, welfare, educazione.

Restituire all’amministrazione un ruolo nel processo di negoziazione tra gli stakeholder economici, sociali e le necessità pubbliche, basate sul principio del bene comune.

Non solo costruire un edificio, ma soprattutto garantirne la gestione economica, sociale e funzionale a medio e lungo termine.

Sviluppare una visione strategica basata sugli interessi della collettività, sulla valorizzazione del patrimonio comune, sulla sostenibilità ambientale.

Ricominciare a progettare la bellezza.

 

[1] Antonio Ottomanelli, Osservatorio sulle grandi opere, Bari, Planar, 2015.

[2] Joseph Grima, 99 Dom-ino. www.spacecaviar.net/99-dom-ino.

[3] Alterazioni Video, Manifesto dell’Incompiuto Siciliano. incompiutosiciliano.org

[4] Stefano Boeri, L’Anticittà, Bari, Editori Laterza, 2011.